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Kiana Hayeri

Where prison is a kind of freedom

“l’Afghanistan è un paese di estremi”, cita la fotografa. E così è la vita delle donne di questa storia.

Intrappolate in matrimoni che le rendono vittime di vessazioni, si sono trovate a considerare l’uxoricidio come unica via di sopravvivenza. Fino al 2021 erano 119 le carcerate della prigione di Herat, dove Kiana Hayeri ha trascorso due settimane, entrando in profondo contatto con alcune di loro.

Se da un lato il loro crimine le ha condannate alla privazione di libertà, dall’altro ha offerto loro un’altra vita. La prigionia è diventata una “seconda opportunità”, seppur contornata da quel filo spinato che serve tanto a tenere rinchiuse loro, quanto a proteggerle da possibili desideri di vendetta da parte delle famiglie dei mariti. In un cortocircuito morale la comunità di detenute ha trovato – seppur in celle sovraffollate – uno spiraglio di pace e tranquillità per loro ed i figli minorenni, all’insegna della collaborazione e del mutuo aiuto.

Poco prima del ritorno dei talebani al potere, le detenute sono state liberate e attualmente le prigioniere del centro di detenzione vivono in condizioni di abuso e privazioni ben lontane dalla sicurezza degli anni passati.

Kiana Hayeri è una fotografa Iraniano-canadese, nata a Teheran. Collabora attivamente con il New York Times ed è Senior Ted Fellow. Il suo lavoro è apparso su testate giornalistiche internazionali come Le Monde, NPR, il Washington Post e il Wall Street Journal. Da anni interessata all’universo sociale e culturale del Medio Oriente, oggi risiede a Kabul, da cui racconta la realtà dell’Afghanistan.

Prigione di Herat, Afghanistan
Donna con bambina nella prigione di Herat, Afghanistan